Bruce Ketta comico, cabarettista noto come il “Postino di Zelig” si racconta

Bruce Ketta comico, cabarettista noto come il “Postino di Zelig” si racconta

Bruce Ketta (conosciuto anche come Bruceketta o Bruschetta) è un comico, cabarettista noto al grande pubblico come il “Postino di Zelig”, ha infatti partecipato alla nota trasmissione con il personaggio del portalettere che raccontando le sue disavventure alle Poste sparava battute a raffica. Fu uno dei primi artisti che conobbi appena arrivato a Milano e coi quali mi esibii in laboratori e progetti artistici vari. Abbiamo condiviso molte esperienze insieme e per questo ho il piacere di poter fare un’intervista che sa più di chiacchierata con un vecchio amico.

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Gli inizi della carriera di Bruschetta

Carlo: ciao Teo, e grazie per aver accettato questa “chiacchierata”. Innanzitutto partirei con le domande più semplici, quelle che magari ti hanno fatto in tanti ma che incuriosiscono e fanno capire meglio chi sei. Anche perché nonostante siano quattordici anni che ci conosciamo non so ancora molte delle risposte. Come nasce il nome Bruce Ketta?

Bruce Ketta: il nome Bruce Ketta nasce come omaggio a Bruce Springsteen e Lenny Bruce. Mi serviva un abbinamento simpatico e quindi tenendo conto di quelle che sai essere le mie prerogative ed i miei gusti mi sembrava che il nome ci potesse stare alla grande.

C: non sapevo ti piacesse Bruce Springsteen

B: mi piace molto, ho visto parecchi suoi concerti ed essendo diciamo “attempato” (sono del’69) ho avuto modo di godermelo, non dico dagli inizi, ma quasi.

C: ti capisco quando dici attempato, io sono del ’73…

B: eh già, adesso dobbiamo entrare in quell’ottica, caro Carlo. Quindici anni fa eravamo freschi, le novità, adesso siamo due “giovincelli” che però hanno abbondantemente superato i quaranta.

C: che sanno però chi è Bruce Springsteen…

B: ancora un po’ e mi beccavo anche Lenny Bruce!

C: torniamo a noi, come nasce Bruceketta comico, da dove nasce l’idea di fare il comico e di farlo di mestiere?

B: più che altro nasce dall’idea di smettere di fare quello che facevo prima ovvero lavorare alle Poste perché, con tutto il rispetto per chi ci lavora, questa professione mi mortificava ed annichiliva parecchio non rappresentandomi in pieno. Quindi ad un certo punto di questa mia esperienza durata undici anni mi sono fatto qualche domanda ed ho detto “proviamo a fare il comico”.

Anche perché come succede spesso nella storia di un cabarettista i tuoi amici ti dicono “fai ridere, perché non provi ad andare a Zelig?” come se fosse la cosa più facile del mondo. In realtà te che fai questo lavoro sai che non è proprio così, ma essendo Zelig la trasmissione del momento provai a scrivere dei pezzi comici, frequentare laboratori e vedendo che il materiale funzionava mi sono proposto al noto locale di viale Monza. Poi di lì è successo tutto.

C: quindi possiamo dire che è nato tutto cercando un’alternativa al lavoro che svolgevi in quel momento?

B: volevo trovare una professione che mi gratificasse come individuo al di là di quello che potesse essere l’aspetto economico e che mi facesse sentire qualcosa di più che un numero. Diciamo che cercavo una gratificazione più per l’anima che per il portafoglio. E’ un po’ come quando un bambino gioca a pallone, non è che pensa di guadagnare dieci milioni di euro, in quel momento pensa a fare goal.

C: e te goal lo hai fatto

B: come in tutte le cose c’è una componente che fa la differenza, si chiama fortuna ed è sempre comunque determinante a prescindere da quello che può essere il talento.

C: ma fra tutti i lavori alternativi perché hai scelto proprio il comico?

B: perché non so fare altro, cosa facevo il musicista? Non so suonare, il pittore? Non so neanche disegnare, addirittura una volta a scuola fui bocciato in disegno. Potevo fare solo il comico anche perché in questo caso la natura mi ha aiutato: il comico infatti è l’unico che ha licenza di essere brutto. Considerando poi alla capacità di saper scrivere in chiave ironica la scelta è stata quasi forzata.

C: com’è che hai scoperto di saper scrivere bene in chiave ironica?

B: l’ho scoperto col riscontro sia degli addetti ai lavori sia del pubblico. Il mio metodo era (ed è ancora) quello di scrivere delle cose che facciano ridere per prima me. Se così è allora sono quasi certo che faccia ridere anche gli altri. Questa cosa è comune a molti comici ma non è universalmente vera. Se te ad esempio fai ridere a cena con gli amici in pizzeria non è detto che tu poi possa far ridere anche su un palco. Se avessi fatto dei flop all’inizio probabilmente ci avrei ripensato.

Bruce Ketta e la sua formazione di comico

C: per quanto riguarda invece l’aspetto didattico quale è stata la tua formazione artistica? Come ti sei formato?

B: Mi sono formato ma negli anni mi sono anche deformato!

A parte gli scherzi ho fatto anche io qualche corso teatrale, anche se ad essere sincero credo che la didattica nel nostro lavoro incida veramente molto poco perché, per quanto possa sembrare un luogo comune, la comicità non te la può insegnare nessuno o ce l’hai o non ce l’hai.

C: certamente anche se non è detto che se uno non fa ridere non sia comico e che debba cambiare mestiere. Magari deve solo farsi esperienza, crescere o trovare la chiave giusta della sua personale comicità. Mi sta venendo in mente ad esempio Giovanni Vernia.

B: giustissimo, ti posso raccontare anche un aneddoto. Quindici anni fa gestivo la programmazione artistica del S’Agapò un locale sui navigli nel quel venisti più volte anche te a fare spettacolo e laboratorio. Con Giovanni feci una cosa che non ho mai fatto in vita mia, lo tirai giù dal palco. Ricordo che stava iniziando questa professione e per questo gli chiesi di non fare più di cinque minuti ma lui sforò ed arrivato a dieci fui costretto ad interromperlo perché la gente stava andando via dal locale.

Dopo quell’episodio lui continuò a chiamarmi per ritornare ma l’ho sempre rimbalzato anche quando non avevo comici per la serata. Dopo diversi anni però lo ritrovai a Zelig e lui mi disse amichevolmente: “ma ti ricordi quando mi tirasti giù dal palco al S’Agapò?” e ci facemmo una sana risata. Tant’è che poi ha voluto che il suo primo spettacolo teatrale lo cominciassi io con un video di me con un panino in mano che facevo accomodare il pubblico per il suo show.

C: simpatica questa cosa

B: si, infatti tra di noi c’è questo legame e una bella amicizia. Tra l’altro sua moglie lavora alle poste e lui mi chiamava dicendomi “sai che in ufficio da lei parlano sempre di te, del tuo personaggio…”

C’è da dire però che secondo me stiamo parlando di un’eccezione. Non so quanto talento abbia Giovanni però posso dire sia una persona estremamente intelligente ed uno che ha lavorato bene capendo cosa bisognava fare. Non so se abbia fatto quello che voleva fare o quello che si doveva fare però ha fatto centro.

In questo senso lo accomuno a Marco Bazzoni (Baz) perché in molte cose li trovo molto simili. Ovviamente non dal punto di vista artistico perché fanno cose molto diverse bensì per la loro storia artistica che ha molte similitudini. Ad esempio sono due persone che non fanno ridere al primo impatto, se li incontrassi per strada non li assoceresti mai alla comicità perché fisicamente sono due bei ragazzi. Entrambi però sono arrivati alla notorietà deflagrante con due personaggi macchietta: Baz, che come ricordi all’inizio si chiamava l’artista neutro e Jonny Groove.

Si basavano entrambi sui tormentoni che si sono rivelati televisivamente formidabili, tutti e due però nel monologo perdono qualcosa perché essendo “bellocci” sono meno d’impatto senza una maschera.

Ma sono entrambe due professionisti intelligenti che credono in quello che fanno ed hanno raggiunto un successo strameritato attraverso il lavoro.

Per tornare al discorso della formazione posso dire che quella principale sia però stata nei laboratori dove ho cercato di “rubare” il mestiere a quelli che lo facevano da tempo ad esempio Chiocchi o Renato Converso. Loro infatti sono dei personaggi che sul palco ci sanno stare molto bene, sono i classici “animali da palco” e poter lavorare con loro carpendo quelli che sono i segreti di questo mestiere credo sia stato uno degli insegnamenti più importanti.

Quando sai di avere la dote della comicità a quel punto devi capire come incanalarla perché la gestione sul palco è ben diversa da quella di quando ci si trova in pizzeria con gli amici.

Ho cercato quindi di fare molta pratica. I primi tempi addirittura per esibirmi quasi pagavo io, e come sai meglio di me se mi offrivano un panino ero già contento.

C: certo, ricordo tanti laboratori dove addirittura dovevamo pagare noi il panino. Mi ricordo un famoso locale sui navigli dove andammo a fare una serata di laboratorio a cast e a Kalabrugovich che si esibiva con noi fecero pagare la birra media con tanto di supplemento spettacolo!

B: giusto, lo ricordo pure io, ma i proprietari di questo locale in tal senso erano “oltre” ovvero facevano molto fatica a pagare. Nella sostanza però non cambia molto, nei primi tempi erano sostanzialmente sacrifici ma ne è valsa la pena perché mi è servito molto, la posso considerare la fase dell’apprendistato. Ci siamo “pagati tanti panini” ma per fortuna poi li abbiamo poi ripresi con gli interessi.

C: Mi hai fatto dei nomi di altri artisti, ma chi è stato il tuo maestro?

B: se devo spendere un nome dico senza dubbio Eugenio Chiocchi, probabilmente è stato anche il primo a pagarmi. Quando aveva le sue serate mi portava dietro a fare le aperture, mi dava un gettone ma in quel momento non era certo quella la cosa importante bensì la possibilità di fare palco e di carpire da lui i segreti di questo mestiere. Posso dire che lui sia stato il primo a scommettere su di me e per questo mi sento di ringraziarlo con piacere.

C: ti dava anche dei consigli quando scendevi dal palco?

B: si, assolutamente. Nel nostro lavoro quando sei agli inizi i consigli di chi ha più esperienza sono importantissimi. Quando c’era da criticarmi lo ha sempre fatto come un fratello maggiore e per questo devo dire che è stato un ottimo maestro. Un altro grande maestro poi, come già detto, è stato il palco stesso.

Bruce Ketta nel laboratorio di cabaret del Rock House

Bruce Ketta al Rock House nel 2005

C: Cambiamo argomento con un’altra domanda. A quali comici ti ispiri?

B: Posso considerare la mia musa ispiratrice Boris Makaresko. Ci sono poi tantissimi comici che mi hanno fatto e fanno ridere però non ho mai avuto un riferimento particolare. Sono cresciuto con Grillo, Benigni, Troisi, poi più avanti con Paolo Rossi, Paolo Hendel, Antonio Albanese, ho vissuto gli anni migliori di Mai dire Gol ma non ho mai avuto un comico particolare al quale mi sono ispirato se non appunto il grande Boris. Quello che ti posso dire è che nel 1999 andai ad una festa (non ricordo se dell’Unità o di un altro partito anche perché partecipavo, come ben sai, solo per mangiare) e vidi lo spettacolo di Stefano Chiodaroli.

 Fu lì che dissi: “voglio fare il comico”.

Aneddoti della vita da comico

C: Come è stato il tuo primo spettacolo?

B: è stato casuale. Una sera ero con degli amici in un locale di nome GerMagna a Sesto Calende, io stavo sparando minchiate a profusione come ero solito fare e la gente si ammazzava dalle risate. Il proprietario mi notò e mi disse:

dovresti proprio fare il comico”

ed io bleffando clamorosamente risposi:

guarda che io lo faccio già”.

Fu così che mi dette la mia prima serata. Iniziai a prepararmi scrivendo del materiale ma man mano che si avvicinava la data dello spettacolo mi accorgevo che avevo fatto una minchiata facendo il passo più lungo della gamba. Infatti nonostante avessi scritto parecchie cose quando andai sul palco esaurii tutto il materiale in quattro minuti terminati i quali mi sedetti sul palco e dissi:

il mio spettacolo finisce qui, se qualcuno mi da un argomento provo ad improvvisare”. Ovviamente a fine serata andai dal proprietario e proponendogli di non darmi il cachet. Capii che non ero pronto ed accantonai l’idea di fare il comico.

Iniziai a seguire un corso d’improvvisazione teatrale con Mari Rinaldi che è un’altra persona alla quale devo molto e sento di dovere ringraziare. Poi un giorno vidi il famoso spettacolo di Chiodaroli che mi riaccese la voglia di provarci ma questa volta con meno approssimazione.

C: spesso i comici per scrivere i propri pezzi sono ispirati da situazioni di vita vissuta, esperienze fatte, o semplici notizie che hanno letto. Come scrivi il tuo repertorio?

B: La comicità è fatta di tante discipline, universale è difficile trovare il comico, abbiamo infatti il battutista, il mimo, quello che racconta storie surreali, il caratterista e chi più ne ha più ne metta. Io mi sono collocato nella schiera dei battutisti, questo è quello per cui nell’ambiente sono conosciuto e probabilmente è la cosa che mi riesce meglio. Molte volte scrivo prima le battute e poi il pezzo. Addirittura i primi tempi, avendo una memoria molto debole non scrivevo nemmeno i pezzi, mi bastava mettermi in testa dieci battute e poi la sera andavo sul palco, trovavo un minimo di drammaturgia, ce le buttavo dentro e portavo il pezzo a casa in questo modo. Adesso cerco di dare una struttura più solida al pezzo però diciamo che sono un comico che privilegia sempre la battuta e questo è sia il mio punto di forza che un mio limite.

C: in che senso?

B: è un limite nel senso che non ho esplorato ancora tutto il territorio della comicità ma al tempo stesso e un punto di forza perché ho ancora tanti margini di miglioramento. Magari molto presto farò un pezzo con cinque battute ma nel quale andrò a sviluppare una comicità di situazione o l’uso della maschera facciale.

C: ma le battute come ti vengono?

B: in maniera naturale perché se mi metto a pensare ad una battuta faccio fatica. La scrittura mi viene in maniera automatica, penso ad una situazione e mi viene normale farci una battuta. Poi la creatività è una cosa che come ben conosci anche te va a momenti: è come un fiume che ha sia giorni di secca sia giorni di piena. Ad esempio ci sono dei giorni che non mi vengono battute nemmeno a morire ed altri che se non me le segno le perdo tanto sono numerose.

C: Il lavoro del cabarettista dà tante soddisfazioni ma come è logico anche qualche dispiacere. Un momento o un aneddoto che ti ha addolorato o deluso nella tua carriera?

B: Ci sono stati diversi momenti brutti nella mia carriera, il primo e più importante che ci tengo a citare non ha un colpevole ma purtroppo solo una vittima ed è stata la morte di Marino Guidi al quale ero veramente molto legato. Soprattutto negli ultimi tempi avevamo stretto un ottimo rapporto. Facevamo Zelig Off insieme e tra noi c’era questo rituale nel quale il giorno delle convocazioni in trasmissione ci sentivamo trenta volte per telefono:

“…allora Bruce ti hanno chiamato?”

si, che bello!”

dai, allora dopo andiamo a mangiare il quel ristorante…”

oh, stavolta pago io…”

E’ per questo che per me è stato molto triste quando purtroppo è venuto a mancare.

Per quanto riguarda aneddoti brutti mi viene invece in mente una serata che ho fatto in Sardegna. La sera dello spettacolo, prima di esibirmi, vidi che c’era un’aria molto strana. Iniziai il mio monologo ma il pubblico non si avvicinava al palco ed era freddissimo, anzi man mano che andavo avanti col mio repertorio lo sentivo vociare e pur non capendo il sardo intuii che qualcuno probabilmente mi stava anche insultando.

Fu veramente dura, non vedevo l’ora che terminasse lo spettacolo e, come ben sai, per chi fa il nostro lavoro, è forse una delle cose peggiori che ti possa capitare perché quando siamo sul palco non scenderemmo mai. Accadde addirittura che a fine show una persona mi si avvicinò dicendomi “lasciati dire che quello che hai fatto è veramente ignobile!”.

Ti potrai immaginare lo stupore che provai in quel momento!

C: Cosa era successo?

B: Accadde che il pomeriggio di quello stesso giorno era purtroppo deceduta in un incidente una giovane ragazza nipote del prete e molto conosciuta in zona. Qualcuno, tenendomi all’oscuro di tutto disse al comitato organizzatore che io volevo esibirmi a tutti i costi perché pretendevo il cachet. Non so chi fece questa cosa alle mie spalle ma molto probabilmente fu l’impresario del luogo per non perdere la commissione. Quello fu veramente un colpo basso che ricevetti perché non penso che esista un comico tra tutti quelli che conosco che avrebbe potuto dire quello che mi fu ingiustamente attribuito.

C: no, poi io che ti conosco bene so che sei una persona assolutamente retta e posso quindi bene capire il dispiacere che provasti. Torniamo ad argomenti più allegri.

B: è meglio.

Bruceketta alle prese con esperienze di gruppo, extra cabaret ed… “originali”

C: Facendo cabaret si vivono un sacco di esperienze, dalle serate con platee spettacolari a serate con situazioni difficili per problemi tecnici od organizzativi (tecnica audio che non funziona, pubblico sistemato in posti assurdi dove non può vederti, locali inadatti al cabaret, organizzatori folli, colleghi altrettanto folli, dopo spettacolo in baldoria coi colleghi, ecc.). Un episodio da dire “solo facendo cabaret mi poteva capitare una situazione così”.

Bruce Ketta: Anche qui di aneddoti ce ne sarebbero tanti e su due piedi faccio fatica a ricordali tutti. Mi viene in mente un episodio buffo che mi è accaduto proprio nella tua città, Pisa.

Era un’estate dove lavoravo quasi tutti i giorni e in quell’occasione mi persero i bagagli all’aeroporto. Ero sudatissimo a causa della temperatura torrida ma essendo senza la mia valigia non avevo abiti per cambiarmi. Inoltre era una domenica e non trovai nessun negozio aperto per potermi comprare un ricambio che come puoi immaginare per le taglie forti come la mia è difficile da trovare. In albergo mi feci la doccia ma fui costretto a rimettermi gli abiti sporchi che avevo. Puzzavo come una carogna, mi schifavano pure i clochard ed io la sera dovevo fare una convention per un’azienda in un posto elegantissimo

Purtroppo non credo di aver lasciato un ottimo ricordo olfattivo nonostante la serata fosse andata molto bene.

C: ma la serata era all’aperto o al chiuso?

B: era al chiuso!

C: Insieme abbiamo condiviso anche l’esperienza delle Lumache Sciò. La formazione iniziale nata al Rock House nel 2005, oltre che da noi due, era composta anche da Alex De Santis, BAZ Marco Bazzoni, Marzio Rossi, Alice Mangione, Simona Lisco e Francesco Friggione. Cosa ti ha dato questa esperienza?

B: è stata un’esperienza non voglio dire fondamentale ma sicuramente importante. Per prima cosa ha migliorato quella che è la mia capacità di lavorare in gruppo visto che io mi definisco un solista. Il gruppo poi aveva un tasso di talento elevato e quindi il progetto poteva avere anche degli sviluppi importanti, poi però ognuno ha preso la sua strada come è giusto che sia stato.

Bruce Ketta al Blues House nei saluti finali

Blues House 2005. Da sinistra: Beppe Altissimi, Carlo Della Santa, Marco Bazzoni, Bruce Ketta, Francesco Friggione.

C: ci sono arti oltre al cabaret che ti piacerebbe sperimentare “da grande”? Ad esempio teatro, cinema ma anche arti come pittura, poesia, musica ecc.

B: beh, nel teatro mi sono già cimentato ad esempio con lo spettacolo “Io e Boris” dedicato a Boris Makaresko interpretato assieme a Giorgio Verduci. Ho recitato anche in una commedia di Enrico Beruschi e seppure il teatro non sia la prima cosa che mi viene in mente pensando alla mia carriera posso dire di averlo esperienziato.

Per quanto riguarda il cinema feci il film dal titolo “Terzo tempo” nel quale mi trovai purtroppo. Tuttavia sono due ambiti che mi piacerebbe approfondire professionalmente.

C: so che Bruce Ketta ha sfilato come modello a Firenze per Pitti Uomo, è vero?

B: no, non ho mai sfilato come modello! Facevo il rappresentante di questa marca di abbigliamento la Steek Hutzee di proprietà di Marco Del Conte autore di Zelig col quale ai tempi collaboravo. Per questo mi mandò a Firenze come testimonial, ma non ho mai sfilato!

Gli hobby di Bruce Ketta

C: finiamo questa chiacchierata buttandoci un po’ sul gossip. Gli hobby e le passioni di Bruce Ketta.

B: beh, a me piace mangiare…

C: no, dai! Non ci credo!

B: strano a crederci ma è così.

C: e poi?

B: Poi sono un grandissimo appassionato di calcio. Posso dire che sono una persona semplice, uno che preferisce la trattoria al ristorante di lusso. Preferisco un bicchiere di Chianti al caviale con lo Champagne. Questo lavoro, ad esempio, ti porta spesso a fare degli scambi merce anche in località di lusso come Porto Cervo (il comico si esibisce gratis in un villaggio turistico e la struttura gli regala il soggiorno completo n.d.r.), ma se devo scegliere quest’ultimo o Viserbella preferisco la seconda.

E poi ovviamente mi piace molto la musica.

Il bello ed il brutto

C: Io che ti conosco da un po’ di tempo sono sempre stato affascinato dalla tua proprietà di linguaggio, forse per me questa è anche una delle chiavi della tua comicità, il fatto di unire la saggezza con la quotidianità spesso triviale generando un forte spiazzamento comico. Questo per chiederti di lasciarci con un classico… dicci una cosa che non rifaresti se tornassi indietro…

B: Una cosa che non rifarei è senz’altro il film, anche perché per girarlo persi qualcosa come diecimila euro in serate.

C: …ed una invece che rifaresti mille volte?

B: sono tante, quasi tutte direi, la prima che mi viene in mente ad esempio è… lasciare le Poste.

C: grazie mille Teo di questa chiacchierata, un saluto.

B: grazie a te, Carlo, ciao.

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